Penso che uno dei misteri connessi all’esistenza dei fantasmi siano le attrezzature usate dai cercatori di fantasmi. Non è chiaro, infatti, per quale motivo debba essere possibile rilevare “presenze” ultraterrene attraverso strumenti progettati per scopi decisamente più terreni.
In questa serie di articoli ci occuperemo di fotografia e delle fotocamere “all’infrarosso” che i gruppi di appassionati del paranormale usano per immortalare i presunti fantasmi. Alla fine del percorso scommetto che sarete in grado di realizzare perfette foto di spettri anche nel salotto di casa vostra.
Le macchine fotografiche sono progettate per produrre immagini di ciò che vediamo con i nostri occhi. Per questo, i sensori delle reflex digitali (come accadeva per le pellicole ai sali d’argento) sono progettati per essere sensibili soprattutto alla luce visibile. Che vuol dire?
L’arcobaleno che appare dopo un acquazzone è in realtà più esteso di quanto possiamo vedere. La luce che a noi sembra bianca è in realtà fatta di molte “luci” (onde elettromagnetiche) di colore diverso (di differente lunghezza d’onda) che viaggiano insieme. Quando attraversano le gocce d’acqua in sospensione, queste luci sono deviate dal loro percorso rettilineo. Ma ciascun colore prende una direzione leggermente diversa. Così si separano, e noi possiamo vederli uno per uno.
Però non tutti.
I nostri occhi percepiscono soltanto le radiazioni luminose comprese tra il violetto (lunghezza d’onda: 380 nm) ed il rosso (760 nm). Prima del violetto e dopo il rosso ci sono altre radiazioni che chiamiamo, con una gran botta di fantasia, ultravioletto e infrarosso.
I sensori delle reflex digitali riescono a “vedere” anche un po’ di queste radiazioni invisibili. E questa cosa non è un bene, perché interferiscono con la definizione dei colori sulle nostre fotografie. Insomma, rischiamo di ritrovarci povera nonna di un colore preoccupante. Per evitare traumi ai nostri parenti anziani, i produttori di fotocamere hanno pensato bene di aggiungere sul sensore un piccolo filtro trasparente (filtro “IR-cut”) che blocca tutte le frequenze moleste e lascia solo l’arcobaleno raggiungere le nostre foto. E pure il colorito di nonna è salvo.
A questo punto, se sono stato bravo a spiegarmi, dovrebbe essere chiaro che, se togliamo il filtro IR-cut dal sensore e lo sostituiamo con uno “IR”, che blocchi invece la luce visibile lasciando passare solo le lunghezze d’onda infrarosse (per esempio quelle superiori a 720 nm), la nostra macchina fotografica produrrà immagini registrando solo quelle radiazioni (ed un po’ di rosso scuro).
Il risultato saranno immagini sostanzialmente monocromatiche. Un sacco di sfumature di infrarosso.
Una reflex così modificata è esattamente lo strumento che i cosiddetti “cacciatori di fantasmi” utilizzano per scattare fotografie al buio. Tuttavia, come dicevo all’inizio, non si capisce per quale motivo i fantasmi, ammesso che esistano, debbano essere visibili in questo modo.
D’altra parte, le immagini che vengono mostrate come prove, in realtà possono essere riprodotte molto facilmente da chiunque sia in grado di maneggiare una fotocamera. E il prossimo articolo della serie sarà dedicato proprio alla “ricetta” per le fotografie di fantasmi.
Se però non potete aspettare per approfondire un argomento, o per qualsiasi altro commento o richiesta, non esitate ad inviare le vostre richieste al Cicap Veneto. Sarò felice di rispondere alle vostre curiosità.