Notizia bomba le conclusioni di una meta-analisi di 800 studi epidemiologici dell’International Agency on Cancer (IARC) relative al rischio pro-tumorale, in primis del cancro del colon-retto, causato da insaccati vari e da carni rosse processate. “Processate” significa lavorate in varia guisa: salate, essicate, fermentate, affumicate, trattate con alte temperature o con conservanti. Le reazioni al documento sono ancora cosi gettonate in giornali e TV che io, medico non oncologo in senso stretto e non nutrizionista, avevo deciso di lasciare la parola ai commentatori esperti (sempre tali?). A farmi ricredere, è stata la frettolosa pletora di pareri allarmistici fonte di panico per gli increduli consumatori di quei cibi, le altrettanto frettolose (ma comprensibili) sdrammatizzazioni dei produttori e venditori degli stessi e persino qualche semplicistico entusiasmo dei fautori di diete a-carnee (scelte rispettabili queste se frutto di esigenze filosofiche, ma assai poco validate da un punto di vista scientifico). E dunque, dopo aver letto attentamente il documento originale della IARC, alcune riflessioni più che tecniche metodologiche oltre che “di buon senso” mi sono sembrate opportune. Quando si tratta del potenziale tumorale di un alimento è intanto essenziale:
- ribadire, anche se può sembrar banale, che “rischio” non equivale a “malattia”;
- indicare la quantità necessaria perché un “potenziale” cancerogeno abbia concrete ricadute cliniche;
- considerare la frequenza con cui il cibo incriminato viene assunto e la durata complessiva dell’assunzione. Evidentemente, mangiare una salsiccia oppure una porzione di “carne salada” trentina o di “soppressa” veronese ogni tanto è ben diverso dall’ingurgitare soltanto würstel e insaccati mattina, mezzogiorno e sera per anni;
- ogni malattia (non solo il cancro) ha quasi sempre un’origine multifattoriale e stabilire il peso del singolo fattore è problematico.
Una seconda annotazione è che la notizia dei rischi di cancerogeni alimentari derivanti dalla lavorazione delle carni e dei salumi non è nuova di zecca. Molti dati, noti da decenni, provengono principalmente da studi su animali o osservazionali nell’uomo, i cui risultati sono non così dirimenti come potrebbero essere quelli emersi da studi controllati “prospettici” che sono invece molto più scarsi. E neppure mi risulta ben dimostrato nella letteratura scientifica che la prevalenza del cancro colorettale in Occidente vari significativamente tra popolazioni che pur hanno diversissimo introito di carni lavorate e insaccati. Tra i 113 fattori cancerogeni di classe 1 secondo la IARC, ci sono tra l’altro anche alcol e fumo, pro-tumorali non proteici ben più pericolosi di carni e salumi, ma ormai noti così da tanto tempo da non essere più ansiogeni, come invece corrono il rischio di diventare a causa di allarmismi mediatici gli alimenti recentemente alla ribalta.
Circa la carne rossa tout court la IARC afferma essa stessa nel documento che la cancerogenicità di questa non è provata e che più che di una correlazione causale potrebbe trattarsi di semplice associazione. I casi di morte eventualmente ad essa attribuibili sarebbero comunque al massimo 50 mila all’anno contro 1 milione di decessi per cancro causati ogni anno dal fumo, i 600 mila morti dovuti all’eccesso alcolico o i 200 mila provocati da vari cancerogeni volatili. A dispetto di qualche articolo impreciso l’evidenza di rapporto causale tra carne rossa e cancro è ritenuta dalla stessa IARC “non così forte”. Insomma, il documento se letto bene è molto meno drammatizzante di quanto in genere riportato e tiene conto delle considerazioni prudenti di questo articolo che condivide pienamente le conclusioni al riguardo della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SITI). Personalmente, quando vedo un obeso di 130 kg che fuma 1 pacchetto di sigarette al giorno e si mangia a fine pasto una torta intera allora sì che mi preoccupo, mentre quando penso a mio nipote Mauro, giovane, magro e non fumatore che si fa qualche braciola alla settimana mi sento sereno, anzi, mi viene voglia di cenare con lui.
Giorgio Dobrilla
Articolo tratto da Alto Adige
Immagine di DrMaku