L’apparecchio fotografico è diventato ormai un elemento consueto nella nostra vita quotidiana.
Ci accompagna in viaggio in forma di compatta digitale o di reflex; nel traffico e durante il lavoro, attraverso il cellulare, addirittura durante il relax sotto forma di webcam nel computer.
Tuttavia, nonostante questa consuetudine, difficilmente si realizza quanto la macchina fotografica sia diversa dall’occhio umano. La macchina fotografica, pur funzionando sugli stessi meccanismi di rilevazione della luce del nostro occhio, possiede parametri che permettono a chi la manovra di “scegliere” quale realtà registrare, permettendone un’interpretazione.
Questa considerazione è la prospettiva da cui intendo approcciare un fenomeno ritenuto “Insolito” con una certa dose di scetticismo.
Su alcune immagini, soprattutto digitali, scattate in determinate condizioni di luce, appaiono talvolta delle sfere luminose, meglio ancora, dei cerchi opachi.
Per questa loro forma, questi fenomeni sono stati denominati ORB, dal latino orbis che significa cerchio, sfera, globo.
Navigando, anche solo con una breve ricerca, se ne possono osservare di tutti i tipi: circolari, bislunghi, luminosi, opachi.
La caratteristica comune tuttavia sembra essere quella di apparire unicamente sul file digitale e di non essere assolutamente state osservate, a detta dei testimoni, durante la ripresa. Ciò farebbe normalmente pensare a un problema tecnico causato dalla macchina, dal sensore o dalla lente invece… da una veloce indagine in rete si trovano molte teorie collegate a queste sfere di luce. Fondamentalmente sono ritenute manifestazioni di esseri di altre dimensioni: siano queste il mondo degli spiriti oppure alieni o tracce della loro attività. Effettivamente la differenza delle forme con cui si presentano e vengono definite tali, queste macchie di luce, fa pensare che esista più di una tipologia di ORB, siano esse paranormali o no.
Così, senza perdersi nelle molteplici risorse del web ogni fotografo potrà guardare nel proprio archivio e vedere, prima di fare un vero e proprio esperimento, se senza accorgersi ha ritratto le sfere di luce.
È probabile che anche in modesti repertori siano presenti numerose ORB. Molto diverse tra loro.

Gli effetti cromatici degli sfondi e la forma stessa del diaframma fanno sì che le celle di cui si compone il bokeh abbiano una forma non esattamente circolare, ma di un poligono dal numero di lati uguale a quello delle lamelle del diaframma.
Ecco dunque ipotizzata la spiegazione per una prima tipologia di ORB.
Non è accettabile l’ipotesi che a creare questi effetti luminosi siano macchie o polvere sul sensore stesso o sulla lente della macchina fotografica in quanto non venendo illuminate sarebbero scure e creerebbero un ombra.
Flare, descritte in dettaglio a breve, e gocce di pioggia o di umidità sospesa nell’aria e illuminata dal flash invece potrebbero spiegare altre tipologie di ORB che si osservano in rete. Quanto si vede nelle foto a destra non necessita grandi approfondimenti.
Di contro, i riflessi delle lenti nelle foto che seguono meritano decisamente di essere ammirati.



Queste non hanno i segni chiari del diaframma dell’apparecchio a testimoniare che si tratta di un riflesso o di una goccia di umidità attraversati dalla luce e sono spesso apparentemente più grosse di un granello di polvere.
La loro forma opaca lascia spazio alle più curiose interpretazioni: corpi extrasensoriali, residui di un’attività paranormale, manifestazioni legate alla presenza o al passaggio di esseri provenienti da altri pianeti o dimensioni.
Non è possibile scoprire la provenienza e la natura di ogni singolo ORB, soprattutto quando si ha a disposizione soltanto l’immagine finale e non le condizioni in cui essa viene registrata, tuttavia posso provare a “costruirmene” uno, dimostrando così la possibilità che sia originato da un insieme di fattori del tutto naturali.
Ecco cosa è necessario per la prova: macchina reflex con flash, cavalletto, telo nero, piumino per la polvere e polvere raccattata sopra gli armadi di casa.
Il telo nero è servito come sfondo, dato che le pareti chiare non avrebbero fatto sufficientemente risaltare il “fenomeno”.


Di seguito due foto scattate a tempi lunghi (4 secondi), una con flash e una senza con un diaframma piuttosto aperto (f. 2,8), visibili partendo dall’estrema sinistra verso destra.


Appare evidente che in tempi così lunghi il passaggio della polvere davanti all’obiettivo non riesce ad essere “congelato” dal lampo di un flash.


Da quest’ultima foto si comprende come per la formazione degli ORB non sia necessario considerare soltanto il tempo di esposizione e la presenza del flash, ma anche la distanza degli oggetti in sospensione dal piano di fuoco. Nell’immagine più centrale infatti, la polvere si trova molto vicino al piano di fuoco, quindi si vede più nitida e se ne intuisce la reale dimensione.


La nostra seduta spiritica digitale è dunque riuscita, se non altro, a dimostrare quanto gli apparecchi fotografici siano diversi dall’occhio umano e possano registrare elementi che con il semplice osservare non cogliamo.
Articolo e foto di Cristina Visentin