Placebo, nocebo e relazione mente-corpo
Articolo di Rossana Garavaglia
L’effetto placebo è un fenomeno affascinante. Con esso si intende quel miglioramento delle condizioni di salute in seguito all’assunzione di un falso medicinale: oggi sappiamo che le aspettative del paziente e il contesto psicosociale che lo circonda sono alla base dell’effetto placebo1.
Nel passato, quando le conoscenze di anatomia e fisiologia erano rudimentali ed erano per lo più sconosciute sia le cause che la patogenesi delle malattie, è probabile che gli effetti positivi delle terapie, spesso fantasiose, fossero dovuti all’effetto placebo, già conosciuto nella prima metà dell’800.
Si prenda ad esempio, l’esperimento con pillole di mollica di pane che vennero somministrate a pazienti facendo loro credere si trattasse di una preparazione omeopatica. L’esito positivo fece attribuire l’efficacia del trattamento con placebo, le molliche di pane, all’immaginazione del paziente o al normale decorso della malattia2, 3.
Le molte conferme ottenute nel tempo sulla efficacia del placebo, e l’enorme avanzamento della scienza medica, hanno condotto gli scienziati ad una metodologia di ricerca che garantisse la robustezza dei dati di efficacia di un farmaco sfruttando il confronto con il placebo. Le sperimentazioni controllate verso placebo ed in doppio cieco sono, oggi, lo standard per dimostrare che l’efficacia di un farmaco superi, in maniera rilevante, quella del placebo.
L’effetto terapeutico del placebo ha iniziato ad essere esso stesso oggetto di ricerca nella seconda metà del ‘900, a partire dai primi studi su animali4 per arrivare ai molti nell’uomo (se ne riportano solo alcuni in bibliografia5,6,7,8,9,10,11,12, 13,14,15).
Le innovazioni nell’ambito della genetica, della neurofisiologia, dell’immunologia, dell’endocrinologia e delle scienze psicosociali hanno, in questo secolo, potuto dare approfondite risposte sulla natura neurobiologica dell’effetto placebo che, come abbiamo visto in apertura, coinvolge il paziente e tutto ciò che gli fa da contorno16.
Vediamo quali sono gli elementi dell’effetto placebo.
In primis, la relazione medico paziente è unica nel suo genere. Le moderne neuroscienze hanno permesso di osservare la relazione da una prospettiva biologica: Gli studi hanno rilevato l’attivazione di specifiche aree cerebrali quando, incontrando il medico, abbiamo aspettative, fiducia, speranza, e quando il medico si dimostra empatico e compassionevole, così come è stato osservato che le parole del medico agiscono, per esempio, in modo simile agli oppioidi sui recettori cerebrali16 . Oltre a quanto sopra, il linguaggio non verbale del medico, i cosiddetti “rituali” messi in atto durante la visita16, e il condizionamento (apprendimento associativo) giocano un ruolo cruciale: spesso, per esempio, il solo vedere una siringa, se da un lato spaventa, dall’altro anticipa la risoluzione del problema17.
La ricerca moderna sta tentando una classificazione degli “effetti placebo”, o in base ai diversi meccanismi che elicita, per esempio ansiolitico e/o antidolorifico, oppure in funzione alle malattie su cui si estrinseca, per esempio sindromi dolorose, Parkinson, disordini immunologiche ed ormonali17. Gli effetti placebo sono anche ben documentati sia in disturbi psichiatrici, quali depressione, disturbo d’ansia e dipendenze, sia in pediatria26 e in veterinaria4.
Le osservazioni sperimentali stanno confermando che i diversi tratti della personalità influenzano la risposta al placebo: sembra infatti che gli “ottimisti” rispondano al placebo, mentre i “pessimisti” rispondano al nocebo (si veda oltre)18,19.
Le moderne tecniche di neuroimaging hanno permesso di evidenziare le aree cerebrali attivate in risposta al placebo: il campo più indagato è quello antidolorifico che evidenzia il coinvolgimento di tutte le aree, le strutture e le connessioni cerebrali antinocicettive17.
Più recenti, e ancora da approfondire, sono le osservazioni in ambito genetico: sono state identificate alcune varianti genetiche che discriminano coloro che rispondono da coloro che non rispondono al placebo17.
Altrettanto intrigante, seppur meno studiato, è l’effetto nocebo, che spiega come le aspettative negative possano avere effetti patologici. Esempi sono la nausea ed il vomito che anticipano la chemioterapia o la sfiducia dei pazienti verso la medicina che, ad esempio, porta ad avvertire i temuti effetti collaterali di fronte ad una indagine diagnostica eseguita con mezzo di contrasto20. In questo caso, l’ansia anticipatoria è il terreno su cui si innescano i sintomi specifici temuti. Così, le aspettative positive portano ad un effetto placebo mentre su quelle negative si innesca l’effetto nocebo21,22.
Va inoltre sottolineato che l’effetto nocebo non si estrinseca solo nel caso di un trattamento farmacologico, ma anche quando le aspettative negative sono elicitate da altri stimoli, quali possono essere quelli verbali23: in questa ottica il passaparola, l’enfasi posta dai mezzi di comunicazione e i messaggi dei movimenti pseudoscientifici possono giocare un ruolo determinante. Si veda il caso delle persone che pensano di essere elettrosensibili, cioè disturbate dai campi elettromagnetici (EM): esse affermano di stare male anche quando non sono esposte alle onde EM ma pensano di esserlo (studio in cieco)24.
Tutto ciò chiarisce i motivi per cui le sperimentazioni debbano essere in doppio cieco (sia il paziente sia il medico non sanno se si stia usando il placebo o il farmaco): il paziente, non sapendo a quale trattamento è sottoposto, non potrà inconsciamente influenzare la sua risposta terapeutica e, allo stesso modo, il medico adotterà sempre il medesimo atteggiamento e i medesimi “rituali” senza differenza alcuna.
Ora è chiaro perché la cattiva comunicazione, quella cioè che definisce i farmaci come “farmaci chimici”, intendendo con ciò passare un errato messaggio di sostanza non naturale, sostanza tossica contrapposta ai preparati “naturali” identificati con sostanze benefiche, possa avere un impatto molto negativo sui comportamenti dei pazienti, che vengono indotti a chiedere farmaci “naturali”. La distinzione tra un farmaco chimico ed uno naturale è una semplice tecnica di marketing; tecnica che nulla ha a che fare con la correttezza scientifica della affermazione. Basti infatti pensare che tutto è naturale e tutto è chimica: anche i prodotti pubblicizzati come naturali sono prodotti in laboratori in cui si manipolano molecole “chimiche”, visto che tutto è chimica. La cattiva informazione e le fake news minano alla base il rapporto di fiducia ed inducono nei pazienti l’aspettativa negativa che spalanca le porte all’effetto nocebo e, quindi, al possibile fallimento terapeutico anche di terapie efficaci.
I risultati delle ricerche sul placebo forniscono ulteriori strumenti ai professionisti sanitari: conoscendo l’importanza dei sentimenti, quali l’aspettativa e la fiducia, e dei rituali, il medico potrà utilmente dedicare parte del suo lavoro alla costruzione di un rapporto empatico che ponga le basi per sfruttare, in modo etico e positivo, l’effetto placebo quando prescrive farmaci efficaci: si utilizza cioè l’effetto addizionale del placebo elicitato dal rapporto medico-paziente a supporto del comune percorso verso la guarigione.
Al lato opposto, l’effetto placebo e nocebo offrono, purtroppo, il fianco alle più svariate e fantasiose teorie alternative. Come scrive il Professor Fabrizio Benedetti17: “Questi effetti fisiologici reali sono usati da molti ciarlatani come giustificazione per terapie strampalate, strane e bizzarre. In accordo con questo rischio, ogni procedura che aumenta le aspettative e le credenze potrebbe essere giustificata, indipendentemente dalla verifica dell’origine di questo miglioramento”. Benedetti continua sottolineando gli interrogativi etici aperti dall’avanzamento delle conoscenze sui meccanismi biologici che reggono l’effetto placebo: “Qual è il limite etico nell’utilizzare il placebo e nell’aumentare le aspettative? Possiamo accettare ogni mezzo disponibile, sia che si tratti di una pillola di zucchero o di una bizzarra miscela?”.
“Paradossalmente, gli avanzamenti scientifici rischiamo di portare la medicina indietro ai tempi passati”17. Ecco perché tutti, scienziati, medici, mondo della comunicazione e cittadini, dovremmo imparare a comunicare in maniera più attenta: la scienza e la ricerca scientifica sono, come dice la Dr.ssa Alessia Ciarrocchi, garanzia di democrazia e di trasparenza “perché sottoposta sempre al giudizio di terzi” e ogni risultato ottenuto deve essere sottoposto alla “valutazione e validazione da parte della comunità scientifica”, cioè degli altri25.
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Biografia dell’autrice:
Rossana Garavaglia abita a Scansano (GR). 58 anni, è laureata in Medicina e Chirurgia, specializzata in Psichiatria e Master in Patologia Genetica Molecolare. Ha esperienza pluriennale come medico di base, come Psichiatra e nell’industria farmaceutica (sperimentazione clinica di farmaci e vaccini fase I-IV). Si veda il profilo Linkedin per maggiori dettagli