“Alieni ma non troppo”, il nuovo Quaderno del CICAP: intervista all’autore Giuseppe Stilo
“Alieni ma non troppo”, il nuovo Quaderno del CICAP: intervista all’autore Giuseppe Stilo
Allo stand del CICAP presso il Salone Internazionale del libro (Padiglione 2, stand F35) sarà disponibile anche il nuovissimo Quaderno del CICAP, il numero 30: un libro di 224 pagine, opera di Giuseppe Stilo, studioso di ufologia e autore di “Alieni ma non troppo. Guida scettica all’ufologia”. Giuseppe è attivo nel gruppo locale piemontese del CICAP, e anche per questo lo abbiamo intervistato sulla sua ultima fatica. Lo ha fatto per noi Alessandro Baglione, anche lui parte del gruppo piemontese della nostra associazione e da lungo tempo cultore di fantascienza. Giuseppe sarà presente presso lo stand del CICAP al Salone sabato 21 maggio 2022, dalle 10 alle 16, per dialogare con il pubblico e per firmacopie.
Alessandro Baglione (AB): Arriviamo da una cultura letteraria fantascientifica come quella di Wells, Asimov, Bradbury, Herbert, Clark, da una cultura di film e telefilm come “Ultimatum alla terra”, “Il pianeta proibito”, “U.F.O.”, “Spazio 1999”, “Star Trek”, “Guerre stellari”, “Incontri ravvicinati del terzo tipo” e “Alien”. A suo tempo, cosa ti ha spinto a intraprendere questo studio ufologico che poi ti ha portato ad avere le conoscenze che hai oggi?
Giuseppe Stilo (GS): Beh, diciamo che “Alieni ma non troppo” è un punto di transito lungo un percorso ormai lunghetto – quello del mio interesse per gli Ufo. In sostanza me ne occupo da sempre: la mia generazione, che è stata bambina nella prima metà degli anni ‘70, ha avuto il suo immaginario largamente occupato dalla tv, dove per tv s’intende la Rai. Il telefilm britannico U.F.O., creato da una coppia di geni come Gerry e Sylvia Anderson mi ipnotizzò letteralmente e portò con sé il fascino per il fenomeno degli avvistamenti e delle storie correlate. Questo telefilm conteneva una lunga serie di elementi costitutivi del mito ufologico, ma io te ne cito due perché per me sono veramente fondamentali per spiegare la mitologia ufologica. U.F.O. è un prodotto televisivo nel quale larga parte del tempo è impiegato a far vedere in azione i modellini di vari generi di astronavi dell’organizzazione per la difesa della Terra dagli alieni e, naturalmente, gli stessi Ufo, che ruotano vertiginosamente sul loro asse ed emettono in ogni circostanza un iconico rumore lamentoso e lievemente ansiogeno. Ecco: il primo elemento del mito Ufo che voglio menzionare è l’ossessione per la tecnica e per i gadget tecnologici. L’ufologia è, prima di tutto, una forma di culto della tecnica.
Il secondo elemento di U.F.O. che m’interessa far notare è che mostrava, in maniera ossessiva e monotona, il viaggio verso la Terra delle astronavi aliene. Lo scopo degli extraterrestri, la loro ragione di esistere, era arrivare da noi. Ecco, questo è un altro elemento centrale della mitologia Ufo. Non si tratta di un generico mito dello spazio, e neppure di quello del viaggio spaziale in generale, e nemmeno di quello dell’incontro con gli alieni, che pure è importantissimo. Prima di tutto, nel mito Ufo viene in primo piano il motivo narrativo del viaggio dallo spazio alla Terra.
Con gli Ufo, è il cielo a scendere in terra: quasi tutta la vicenda ufologica ha per teatro il nostro pianeta e le sue vicinanze, non lo spazio profondo (con parziale eccezione del fenomeno del contattismo, in cui il protagonista è condotto su altri mondi, li descrive e ne incontra gli abitanti – ma soltanto per tornare immancabilmente nel nostro globo).
AB: Rispetto agli anni di cui parlavamo prima la fantascienza, sia cinematografica sia letteraria, ha subito enormi evoluzioni, come ideologia, come paura dell’ignoto, dell’infinito e degli alieni. In un mondo dove i ragazzi sembrano molto più svegli e preparati, quali sono i riferimenti di oggi rispetto a quelli di allora, che possono spingere un ragazzo a intraprendere un viaggio conoscitivo analogo al tuo?
GS: Guarda, il fatto che io sia via via diventato più scettico sulla possibilità che in mezzo a questa massa di storie e di avvistamenti si nasconda qualche fenomeno sconosciuto alla scienza – non dico le visite degli alieni – non vuol dire che io non nutra riconoscenza per l’ufologia. Se presa per il verso giusto (e prenderla per il verso giusto, razionale, non è ovvio) l’ufologia può essere una vera scuola di razionalità e di sviluppo delle capacità analitiche. Che cos’è l’evidenza di un fenomeno? Come si ascolta una persona senza influenzarne le parole? Come intuire se ha motivi per mentirci? Come si fa a estrarre dati oggettivi dal suo racconto? Come si prendono delle misure in occasioni come queste? Quale valore conoscitivo ha l’osservazione casuale, non strutturata, di un evento che si verifica in natura? In che modo fallisce la percezione umana? Come sono nate, dove, e per spinta di chi, le varie componenti della mitologia Ufo? Potrebbero esserci dei fenomeni naturali ancora ignoti alcuni dei quali sono confusi nella massa degli avvistamenti dei presunti Ufo?
Insomma, mille strade interessanti da percorrere e del tutto razionali. E poi, sul piano umano, ascoltare per lungo tempo le storie più bizzarre raccontatemi in perfetta buona fede da persone di ogni tipo, un effetto in me l’ha prodotto: una maggior tolleranza nei confronti dell’immensa varietà dell’esperienza umana, anche quando ai miei occhi può apparire bizzarra. Ditemi voi se è poco.
AB: Quando nei film gli alieni non sono i cattivi che vogliono distruggere o conquistare la terra, i cattivi sono sempre i militari. Da cosa nasce questa idea sul fatto che i militari, spinti dal governo o da idee patriottiche per il bene del mondo, tengono nascosti gli alieni e le informazioni su di essi per fare esperimenti e per usare la loro tecnologia? Esistono protocolli reali di comportamento, se dovesse mai succedere, oppure è una linea narrativa che poi è entrata nel pensiero complottista comune?
GS: La presenza frequente di una componente militare nella mitologia Ufo ha risvolti diversi e anche opposti fra loro. Però, pensiamo al tempo in cui è comparso il moderno mito ufologico: gli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, con inizio negli Stati Uniti. I militari godono di un prestigio enorme. La peggior conflagrazione della storia umana si è appena conclusa e già si delinea il rischio di una terza guerra mondiale, ancora più devastante perché condotta con aerei a reazione, missili a lunga portata e armi nucleari. Un mondo in cui l’immaginario bellico, insomma, è prevalente, e dunque il richiamo sociale di cui godeva chi portava una divisa era altissimo. La questione del “che cosa fare” se arrivassero fra noi – non soltanto se ci arrivasse un segnale artificiale da una stella lontana – più che di oggetto di veri protocolli è ormai ampio motivo di discussione fra studiosi di ogni disciplina e, anche, dal punto di vista della simulazione di varie situazioni di crisi sistemiche, pure di organismi governativi di varie parti del mondo. Ma attenzione: si tratta di esercizi di stile, volti a sviluppare le capacità di analisi e di reazione in situazioni estreme, non di “piani” concreti, di tipo esecutivo.
AB: L’Area 51 è messa in ogni film come il simbolo del luogo per eccellenza, dove sono tenute nascoste le prove sull’esistenza degli alieni e se ricordiamo la scena finale de “I Predatori dell’arca perduta”, anche tutto ciò che c’è di strano/paranormale nel mondo. Com’è nato questo mito? Cos’era realmente l’Area 51?
GS: Il mito dell’Area 51 è uno sviluppo dell’ufologia che segna l’inizio della fase contemporanea dell’ufologia, che, diciamo, parte alla fine degli Anni 80 del secolo scorso. Facciamo una piccola distinzione di generi: fin quasi dagli inizi dell’era ufologica attuale (1947) cominciarono a circolare notizie e dicerie sul fatto che alcuni governi, in primis ovviamente quello Usa, fossero in possesso di parti di dischi volanti, o, addirittura, di dischi interi. Dal 1949 prese forma il sottomito dei corpi dei piloti extraterrestri morti nella caduta delle loro astronavi e tenuti nascosti in qualche base militare, più di una volta localizzata nell’ovest degli Stati Uniti.
Però il mito dell’Area 51 è molto di più di questo: al centro di esso ci sono due elementi: 1) la retroingegneria, ossia il fatto che noi saremmo in grado di capire, studiare, riprodurre e utilizzare elementi ingegneristici incredibilmente sofisticati di origine aliena (ecco che torna l’ossessione per la tecnica propria dell’ufologia di cui ti dicevo all’inizio); 2) il patto segreto fra governi e alieni, che, in qualche modo, sarebbero entrati in collaborazione per fini più o meno malvagi e che lavorerebbero insieme nel sottosuolo di zone militari quali, ad esempio, Area 51. In casi più estremi, le narrazioni implicano un elemento di conflitto fra i governi terrestri e gli alieni insediati nelle basi, come se l’accordo fosse stato rotto da una parte o dall’altra e ora fosse in corso una vera e propria sfida mortale per il controllo dell’umanità da parte di uno dei due “poli”. In questo caso, l’ufologia si fonde in maniera diretta con l’universo culturale del cospirazionismo contemporaneo.
Area 51, comunque, è un nomignolo, non il vero nome, di un colossale complesso di laboratori di ricerca, poligoni e aeroporti del Nevada, presso il quale dalla metà degli Anni ’50 si testano tecnologie militari di ogni genere (non solo di tipo aeronautico). Era inevitabile che uno spazio così vasto, segreto e di difficile accessibilità desse vita a un suo folklore. Di questo folklore gli Ufo sono diventati la parte più in vista.
AB: Visto che vivi in Piemonte, ci sono stati casi di avvistamenti di particolare importanza o aneddoti curiosi avvenuti in questa regione?
GS: Una questione di fondo, prima di risponderti. Il numero di avvistamenti Ufo che arrivano da una zona o dall’altra dipende da fattori sociali. Media più interessati in zona, appassionati locali, circostanze che spingono le persone a parlarne sui social media, fra colleghi, in pubblico. L’idea che ci siano zone “privilegiate”, in cui gli Ufo “si vedono di più” è parte del mito ufologico. Pensiamo al Musinè, questa modesta altura alle porte di Torino. Il fatto che “sul Musinè si vedono gli Ufo” è frutto di fantasie e di una costruzione culturale iniziata intorno al 1960 fra alcuni appassionati torinesi di Ufo e di misteri vari. Da lì si è poi ramificata una serie fittissima di storie di natura non soltanto ufologica che raggiunse il massimo della circolazione negli Anni ’70.
Quanto ai casi significativi per il Piemonte, provo a fare tre esempi.
Il primo è un super-classico dell’ufologia, e costituisce uno dei pochi casi ancora non spiegati. Si tratta del celebre episodio verificatosi il 30 novembre del 1973 fra i cieli del Piemonte e quelli della Lombardia occidentale, nel corso del quale un oggetto volante non identificato fu seguito sugli schermi radar dell’aeroporto di Torino-Caselle e da un radar militare di base a Mortara, nel Pavese, e visto a lungo dai piloti di tre aerei civili e da personale militare al suolo. Il caso, molto complesso, manca di diversi elementi documentari, ma, almeno al momento, non è stato possibile individuarne le cause. È uno dei rari episodi nei quali l’evidenza disponibile pone sfide serie a chi dubita che esista un qualche “Ufo”. Questo genere di eventi non va trascurato dagli scettici, ma studiato con il massimo dell’attenzione.
Il secondo caso che vi presento rappresenta invece il gruppo di gran lunga maggioritario nella casistica ufologica: quello degli eventi avvenuti davvero, ma per i quali si è trovata la spiegazione – o, perlomeno, per i quali esiste una spiegazione plausibile.
La sera del 21 marzo 1989 in tutto il Piemonte si creò un certo panico, perché nel cielo ancora al tramonto, verso ovest, si vedeva una sorta di enorme voluta leggermente luminosa che formava una specie di spirale che lentamente si alzava verso l’alto. Polizia, giornali e osservatori astronomici furono sommersi dalle telefonate, mentre cominciavano a comparire un po’ ovunque foto e filmati. Solo con calma arrivò la risposta al mistero: si trattava degli effetti prodotti nell’alta atmosfera dal lancio sperimentale di un missile balistico intercontinentale francese effettuato dal poligono di Biscarrosse, sulle sponde dell’Atlantico. I gas di combustione erano ionizzati e dunque luminosi: al resto dello show contribuì l’effetto della luce del Sole al tramonto: i suoi raggi, da ovest, colpivano la scia già quasi nel buio accentuandone la visibilità.
Infine, un caso appartenente al gruppo assai meno folto delle fantasie vere e proprie. Nei primi Anni 70, prima di fornire le sue prestazioni in altre zone, in particolare nel sud della Francia, in Sardegna, in Umbria e in Toscana, a Gravellona Toce e dintorni si fece una certa fama un elettrotecnico che aveva iniziato ancor prima la sua carriera di personaggio di nostro interesse asserendo di riuscire ad ascoltare comunicazioni radio di astronauti sovietici che effettuavano voli in contemporanea con quelli americani dell’Apollo 11. Poi era passato a parlare dei suoi incontri con foto annesse scattate a gruppi di venusiani che secondo lui atterravano con messaggi di pace sui monti dell’Ossola. Le foto dei “venusiani” e della loro nave furono poi identificate come immagini provenienti da un film d’animazione cecoslovacco del 1968. In seguito, l’elettrotecnico di Gravellona ebbe diverse traversie giudiziarie, ma con i suoi contatti venusiani rimase sui radar degli appassionati almeno sino alla fine degli Anni ’70. Poi uscì di scena.