Nostradamus a Torino?

Nostradamus a Torino?

1995 parole,7,8 minuti di lettura,

Che il nome di Michel de Nostredame, comunemente detto Nostradamus, con il leggendario e misterioso alone che lo circonda, abbia attirato l’interesse di centinaia e centinaia di biografi, interpreti, storici, romanzieri, giornalisti, curiosi e via elencando, nonché l’attenzione di sedicenti maghi, veggenti, sensitivi e affini, è dimostrato dal fatto che inserendo il suo nome in un qualsiasi motore di ricerca di Internet saltano fuori dalle cinquecentomila al milione e mezzo di citazioni.

Ho cercato allora di limitarne il numero, tralasciando tutto quello che riguarda le profezie, gli studi, la biografia del nostro personaggio, e restringendo il campo di ricerca ad un singolo specifico episodio, cioè ad un suo possibile soggiorno torinese che sarebbe avvenuto nel 1556. In questo modo, cercando solo “Nostradamus” e “Torino” le cose vanno un po’ meglio, ma anche in questo caso le citazioni restano dell’ordine di parecchie migliaia. A questo punto ho preferito partire da pochi ma  documentati articoli per verificare che cosa si sa di certo e cosa invece è frutto della fantasia dei vari autori.

Un valido punto di partenza è senza dubbio costituito dall’articolo di Corrado Pagliani, comparso nel n. 1 della rivista “Torino” del 19341. In questo ben documentato articolo l’autore ricostruisce il possibile (probabile?) soggiorno torinese di Nostradamus, partendo da una lapide originariamente collocata su un androne di una cascina situata all’epoca (siamo a metà del  Cinquecento) alla periferia di Torino. Tale cascina, nota come cascina Morozzo2, resisterà sino agli anni Sessanta del Novecento, per essere poi – ahimé! – abbattuta per far posto a più moderne costruzioni.

L’articolo in questione è un valido punto di riferimento, tanto da essere ripreso e riproposto numerose volte tra l’altro da Spagarino Viglongo3, da Tirsi Caffaratto4, da Bellagarda5, oltre a esser citato anche da altri autori, dal tono più esoterico, come Giuditta Dembech6.

Nel suo articolo il Pagliani riporta la riproduzione di un dagherrotipo ottocentesco che si presumeva fosse l’esatta fotografia dell’originale, (cosa che si rivelerà in seguito errata), comparso sulla rivista Le Courrier de Turin del 26 dicembre 1807 (questo
particolare risulterà, come vedremo, molto importante), con tanto di testo che sarebbe stato dettato dallo stesso Nostradamus)  e che recita così:

La lapide di Nostradamus in una fotografia di Giuditta Dembech.

La lapide di Nostradamus in una fotografia di Giuditta Dembech.

1556
NOTRE DAMUS A LOGE ICI
ON IL HA LE PARADIS LENFER
LE PURGATOIRE IE MA PELLE
LA VICTOIRE QUI MHONORE
AVRALA GLOIRE QUI ME
MEPRISE OVRA LA
RUINE HNTIERE

La cui traduzione dovrebbe corrispondere a:

1556
NOSTRADAMUS ALLOGGIA QUI
DOV’È IL PARADISO, L’INFERNO,
IL PURGATORIO IO MI CHIAMO
LA VITTORIA CHI MI ONORA
AVRÀ LA GLORIA CHI MI
DISPREZZA AVRÀ LA
COMPLETA ROVINA

La lapide di Nostradamus riprodotta manualmente da C. Pagliani.

La lapide di Nostradamus riprodotta manualmente da C. Pagliani.

In realtà la prima testimonianza scritta circa un possibile soggiorno torinese di Nostradamus è ancora più antica, risalendo addirittura al 1786, pubblicata nel Noveau Dictionnaire Historique (citazione da O. Mattirolo7, 1928).

La seconda testimonianza in ordine di tempo e relativa alla lapide risale al già citato articolo del Courrier del 18078 in cui un certo H. Carena riporta anche le misure della stessa: 20 pollici (51 centimetri) di larghezza per 15 pollici (38 centimetri) di altezza. Da notare che il Viriglio9, nel suo famoso libro Voci e Cose del Vecchio Piemonte, a pag. 33, in nota, prenderà un abbaglio, attribuendo la descrizione della lapide anziché al Carena a Giuseppe Grassi.

I resti della cascina Morozzo.

I resti della cascina Morozzo

Una terza citazione si può ritrovare in un articolo pubblicato sul quotidiano “La Stampa” del 3 giugno 193210 in cui tale C. O., in occasione degli imminenti lavori di ristrutturazione dell’intera area su cui sorgeva la cascina Morozzo, si sofferma sulla leggendaria figura di Nostradamus e sul suo possibile soggiorno torinese.

Ma ritorniamo all’articolo del Pagliani del 1934; in esso l’autore riporta la notizia che il Carena (in realtà il nome riferito dal  Pagliani, per una sua probabile svista, è Carrera anziché Carena) dopo il 1807 inviò a Le Courrier de Turin (27 gennaio 1808) una seconda lettera in cui riporta il parere di un anonimo lettore, tale H. B., che in seguito alla lettura della prima lettera uscita sullo stesso giornale nel dicembre 1807, precisa quanto segue:

Quantunque la storia di Provenza non menzioni il soggiorno a Torino del famoso medico, abbiamo nondimeno parecchi aneddoti che ci provano ch’egli vi si è trattenuto per qualche tempo, che fu ben accolto alla Corte dei Savoia e che passò  qualche giorno alla casa di campagna oggi Morozzo, appartenente in altri tempi alla principessa Vittoria di Savoia. Son d’avviso che il nome della detta campagna (Vittoria), la posizione e la distribuzione delle terre sotto la denominazione (di regioni) del Paradiso, Purgatorio ed Inferno, han dato occasione a Nostradamus di comporre  l’iscrizione.

Il Pagliani precisa anche che una sua personale ricerca presso gli archivi del Comune circa l’esistenza di una Principessa Vittoria di Savoia risulterà vana, non trovando traccia di principesse con tale nome, contemporanee o anteriori alla data dell’iscrizione.

Comunque sia andata, l’autore precisa inoltre che le dimensioni della lapide (50 x 35 cm), rilevate da lui stesso nel 1934,  risultano di poco inferiori a quelle riportate dal Carena nell’articolo su Le Courrier de Turin del 1807 e che pertanto era possibile pensare che nel frattempo la lapide fosse stata rimossa, riquadrata e collocata in un luogo diverso dal primitivo.

Nelle due immagini in alto la versione del Pagliani, in basso, la foto della Dembech

Nelle due immagini in alto la versione del Pagliani, in basso, la foto della Dembech

Per quanto riguarda invece il testo, occorre fare un’altra interessante precisazione: il Pagliani si limita a riprodurre quanto
riportato sul Courrier, senza accorgersi che in realtà alla terza riga non stava scritto “ON IL HA LE PARADIS” bensì “ON IL I I A LE PARADIS”; non solo, ma quando avrà in mano la lapide originale da misurare non si accorgerà neppure che l’H di “MHONORE” della quinta riga in realtà era sovrastata da un accento circonflesso (MHONORE). Queste due piccole differenze, apparentemente senza molta importanza, in realtà ne hanno moltissima in quanto uno dei più noti interpreti di Nostradamus, ritenendo che il testo della lapide (quello con “IL HA” e senza accento circonflesso) nascondesse un messaggio criptato da decifrare, con relativa “chiave” per interpretare le famose quartine, riportando su carta millimetrata il testo stesso e calcolando opportunamente il numero delle lettere, le cadenze e le spaziature ha identificato (a suo dire) tale chiave. Peccato che il tutto fosse basato su di un testo, quello appunto riportato dal Pagliani, che poi si rivelerà errato… lascio alla  fantasia del lettore immaginare l’attendibilità delle conseguenti interpretazioni.

E se la fantasia non fosse sufficiente riporto testualmente quanto scritto nel libro della Dembech6:

ci sono invece delle diversità fra la fotografia ottocentesca e l’autentica lapide di marmo, differenze tali da stravolgere completamente sia il senso della “chiave” che di conseguenza, le interpretazioni fin qui ricavate…

Ma ritorniamo ancora una volta al Pagliani; suo indubbio merito resta quello di aver fotografato la cascina Morozzo, prima della sua demolizione, da due diverse prospettive (dal lato di via Lessona e dal lato del parco della Pellerina), e la sua risulta, assieme a quella prodotta dal Bellagarda nel 1968, la sola documentazione fotografica esistente a ricordo del possibile passaggio torinese del celebre medico occultista. Della famosa lapide non si saprà più niente per una trentina d’anni (da molti fu data per dispersa,  da altri se ne metteva in dubbio addirittura l’esistenza) finché, nel 1967, il Bellagarda non riuscì a rintracciarla nella casa dell’ultimo proprietario della Cascina, l’avvocato Momigliano, in via Don Minzoni. La lapide fu infine “riscoperta” e  fotografata nel 1975, grazie alle ricerche di Renucio Boscolo, autodefinitosi l’interprete ufficiale di Nostradamus, e pubblicata da Giuditta Dembech nel suo libro del 19786. In conclusione, di citazioni relative al soggiorno torinese del Nostro (mi si passi il gioco di parole) ce ne sono molte ma gira e rigira si tratta sempre degli stessi episodi che, in definitiva, fanno capo ad un solo elemento concreto ovvero l’esistenza della pluricitata lapide.

Vi sarebbero inoltre tre accenni indiretti, ma tutti e tre molto dubbi. Il primo è quello contenuto nel Nouveau Dictionnaire Historique citato dal Mattirolo, che però parla di una venuta a Torino di Nostradamus per controllare la gravidanza di Margherita di Valois, consorte di Emanuele Filiberto, nel 1562 quando in realtà Emanuele Filiberto consultò effettivamente Nostradamus per la nascita del figlio, ma nel dicembre del 1561 e a Nizza, non a Torino (come risulta dalla monumentale opera
del Guichenon 16601,2). Un secondo accenno è quello che compare sul già citato Courrier de Turin del 1808 ad opera del Carena, ma anche in questo caso si tratta di un parere di un lettore (oltretutto anonimo) e nulla più; l’ultimo è quello riportato dalla Dembech la quale sostiene che il motivo della visita a Torino di Nostradamus nel 1556 era legato alle pratiche alchemiche del tempo (l’alchimia era effettivamente uno dei suoi grandi interessi), anche se il motivo ufficiale era una visita alla moglie di Emanuele Filiberto, la duchessa Margherita… ora mi domando come poteva essere questo il motivo ufficiale visto che Margherita di Francia sposerà Emanuele Filiberto soltanto tre anni dopo, il 10 luglio 1559!

In mancanza di altre testimonianze comprovate, forse il punto interrogativo contenuto nel titolo di quest’articolo non cade del tutto a sproposito.


Giuseppe Ardito

Note bibliografiche

  1. Corrado Pagliani, Di Nostradamus e di una sua poco nota iscrizione liminare torinese, Rivista “Torino”, vol.14, n. 1, 1934.
  2. Della Cascina Morozzo sappiamo che faceva parte di un complesso di altre cascine, quali il Giajone, il Negro, l’Anselmetti, tutte legate al nome della famiglia Martin, di cui E. Gribaudi Rossi, nella sua pubblicazione Cascine e Ville della Pianura Torinese13, fornisce un dettagliato rendiconto, riportando anche la testimonianza dell’architetto G.A. Grossi e della sua Guida alle Cascine, Ville e Vigne del Territorio di Torino, edita a Torino nel 1790-91. Situata al di fuori della cerchia antica della Città, in una zona ricca di poderi agricoli e con signorili costruzioni abbellite da giardini e parchi come ebbe a scrivere la Spagarino Viglongo nel suo piacevole articolo3, rappresenta un luogo ideale per il soggiorno di un mago, astrologo, medico e scienziato che raccoglieva tra l’altro frutta per marmellate, erbe per creme ed unguenti, fiori per essenze e profumi. Questi ultimi fatti sono anche riportati in una serie di articoli comparsi su La Stampa nell’aprile del 193811, a nome di Alberto Savinio (alias Andrea De Chirico) che definisce Nostradamus come il precursore di Cirio e della Helena Rubinstein! Al principio dell’Ottocento, continua la Spagarino Viglongo, la Villa fu trasformata in fattoria, con annesso allevamento dei bachi da seta (che all’epoca risultava una vera e propria attrazione turistica), dall’avvocato Colla, politico e giureconsulto ma noto soprattutto per essere un appassionato botanico, autore tra l’altro della poderosa opera Herbarium Pedemontanum. Ai tempi dell’articolo del Pagliani, la casa Morozzo (che si trovava in via Michele Lessona 68, e che diventerà via Michele Lessona 46 dopo la guerra), era invece di proprietà di un altro avvocato, tale Alessandro
    Momigliano. “Il Morozzo” fu in seguito abitato sino al 1967, per poi essere definitivamente abbattuto. Nelle pubblicazioni di Bellagarda5 e della Dembech6vengono riportate delle eloquenti fotografie della cascina e dei pochi resti, un muro in particolare, che rimanevano prima della demolizione.
  3. Giovanna Spagarino Viglongo, Nostradamus a Torino, Almanacco Piemontese 1999, Torino: Viglongo ed., 1999.
  4. Mario Tirsi Caffaratto, Parè, Rabelais, Nostradamus: tre medici francesi ospiti di Torino nel cinquecento. Studi Piemontesi 1985 Vol. XIV: 336-343.
  5. Giorgio Bellagarda, Un soggiorno torinese di Nostradamus, Minerva medica 59, 31, 1824- 1834, 1968.
  6. Giuditta Dembech, Torino città Magica, Torino: L’Ariete, 1978.
  7. Oreste Mattirolo, L’opera del Duca Emanuele Filiberto in favore della botanica e dell’agricoltura, Torino: Villarboito, 1928 in cui si cita il Nouveau Dictionnaire Historique, Vol. IV, Caen 1786.
  8. H. Carena, Le Courrier de Turin n. 251, p. 1177, 1807 e n. 260, p. 1209, 1808.
  9. Alberto Viriglio, Voci e Cose del Vecchio Piemonte, Torino: Viglongo ed., 1970.
  10. C. O., Una leggendaria misteriosa figura che risorge dalle rovine di una casa in demolizione, La Stampa, 3.6.1932.
  11. Alberto Savinio Vita prodigiosa di Nostradamus. Serie di articoli su La Stampa del 3, 7, 8, 9 e 10.4.1938.
  12. S. Guichenon, Histoire Généalogique de la Royale Maison de Savoie, Lion 1660, Torino 1780.
  13. Elisa Gribaudi Rossi, Cascine e Ville della Pianura Torinese, Torino: Le Boquiniste, 1970.